Idrocefalo

Tra le condizioni neurologiche più meritevoli di dialettica clinica e intervento neurochirurgico rientra l’idrocefalo normoteso, una dilatazione anomala delle cavità ventricolari più comune nella popolazione adulta e anziana.

L’idrocefalo è il risultato di uno squilibrio tra la produzione e il riassorbimento del liquido cefalorachidiano che circola all’interno del sistema ventricolare e negli spazi cisternali e subependimali. Le eziologie sono molteplici e comprendono l’ampio spettro delle demenze neurologiche, ma anche esiti di eventi infettivi, infiammatori, ischemici ed emorragici cerebrali.

La diagnosi di idrocefalo normoteso molto spesso è subdola poiché richiede una combinazione di dati neuroradiologici e clinici. Il classico reperto di dilatazione tetraventricolare con trasudato transependimale ben documentabile in TC o Risonanza magnetica cerebrale (RMN) richiede infatti una contestualizzazione clinica.

I sintomi tuttavia non sempre si manifestano in maniera evidente ma spesso si sviluppano in concomitanza di patologie neurodegenerative già esistenti, come la demenza vascolare, il morbo di Alzheimer o il Parkinson. Talvolta possono comparire anche in esiti di infezioni o pregresse emorragie cerebrali.

Idrocefalo: sequenza RMN assiale T2, le frecce indicano la ventricolomegalia e l’iperintensità periventricolare data dalla trasudazione transependimale

Una delle manifestazioni più riconoscibili è la cosiddetta triade di Hakim. Questa associazione comprende tre principali disfunzioni: disturbi della memoria, alterazioni dell’equilibrio e dell’andatura (disturbi della marcia) e disfunzioni sfinteriche (incontinenza urinaria).

Data la complessità del quadro clinico, l’inquadramento diagnostico richiede un’attenta integrazione di informazioni cliniche, test neuropsicologici e dati radiologici. In casi selezionati, vincente è l’opzione chirurgica di derivazione ventricolo-peritoneale ovvero una deviazione shunt mediata del liquor cerebrospinale in peritoneo dove viene riassorbito naturalmente.

Quando l’iter diagnostico terapeutico è appropriato, i miglioramenti clinici possono essere significativi, in particolare per quanto riguarda la deambulazione e il controllo sfinterico. La componente cognitiva, invece, può mostrare un recupero più lento e talvolta parziale.

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